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Porto Santo Stefano da ricordare

Buongiorno!

La Cantoniera

 

Costava trenta lire e, dopo quello del Siciliano, era il gelato più buono del paese.

Me lo comprava mio padre al bar del porto, davanti agli scali di alaggio della darsena.

Ora il bar non c’è più ed anche gli scali sono deserti da anni. I pescherecci che prima vi sostavano per le riparazioni, adesso vanno altrove..

Entrando in paese dalla discesa del Valle li incontravi subito, a due passi dalla strada, che aspettavano pazientemente sugli scivoli, tra uomini indaffarati, materiali e attrezzature. Era il cantiere della SIPA, come spiegava agli ignari un cartellone malandato all’ingresso. Serviva le barche del paese e dava lavoro alla sua gente.

Adesso entrando in paese vedi, un po’ prima e al di là di un muro, solo yacht, panfili e barche di lusso in restauro o riparazione. La SIPA non c’è più. C’è un altro cantiere. “Cantiere Navale dell’Argentario” c’è scritto. Ma serve gente di fuori. Chissà dove andranno adesso i pescherecci ...

Tornando a casa dalla Cantoniera, mio padre il gelato me lo comprava facendo uno strappo, come diceva lui, alle raccomandazioni di mia madre.

“E’ inutile che prenda l’olio di fegato di merluzzo se poi si guasta l’appetito prima di venire a tavola” diceva mia madre. Ma in questo, e solo in questo, le sue raccomandazioni rimanevano inascoltate. Un bel gelato quando ci voleva, ci voleva…

Solo tre gusti disponibili, crema, cioccolato e limone, e nemmeno grande a sufficienza quanto la gola e la calura estiva avrebbero richiesto, ma quel gelato, dopo il bagno, era la fine del mondo. Fantastico, indimenticabile.

Come i bagni alla Cantoniera, d’altronde. Chi se li può dimenticare…

La Cantoniera era la spiaggia per i paesani creata dal Padreterno su misura per loro. Lì ce n’era per tutti i gusti. Un po’ di ghiaietta fine per giovani e pulzelle, per stendersi al sole ad abbronzarsi e pensare all’amore, un po’ di sabbia per i bimbetti per armeggiare con secchiello e paletta assistiti da babbi impiccioni, scogli sparsi di tutte le taglie per le esplorazioni subacquee dei ragazzi in cerca d’avventura e un paio di pinnacoli sulla scogliera per i tuffi e le esibizioni muscolari per i “grandi”. E agli anziani, le mamme e i bimbetti in età da ciucciotto e carrozzina provvedeva qualche premurosa pianta di fico con la sua ombra e, perché no?, qualche frutto a portata di mano.. Il tutto a due passi dal paese in fondo ad una ripida e verde scarpata che conferiva alla spiaggia un’aria raccolta e paesana.

Niente a che vedere con la Feniglia o la Giannella, un po’ più in là, spiagge sterminate di sabbia polverosa, piatte e monotone, anonime, senza personalità.

La Cantoniera era un’altra cosa. Con il Fortino da una parte, in alto a picco sul mare a curiosare altezzoso su chi entrava ed usciva dal porto, e una casa cantoniera diroccata dall’altra, addossata ad un costone boscoso, tutta assorta nei suoi ricordi... E al di là di uno specchio di mare davanti all’imboccatura del porto c’era il paese, rassicurante, con la sua gente e le case che diradavano via via verso la punta del promontorio. Punta Lividonia per cartografi e stranieri ignoranti. Punta Madonnina per i paesani, da un’immagine della Vergine che dall’alto di uno scoglio benediceva i pescherecci, e solo quelli, che passavano di li.

La Cantoniera. Un piccolo paradiso a portata di mano. Ci si arrivava dal paese in un quarto d’ora percorrendo una stradina sterrata che affiancava per un tratto il cantiere, costeggiava un paio di spiaggette sassose, sporche di nafta e di rottami, per andarsi infine ad imbucare in un tunnel freschissimo e corroborante. All’uscita di questo la casa cantoniera ricordava a chi per caso si fosse distratto o se lo fosse dimenticato, che era arrivato alla spiaggia. Della Cantoniera, per l’appunto.

Una stradina con una storia, se vogliamo. C’erano dei binari su quella strada, una volta, che costeggiando il

mare e passando sotto qualche tunnel, univano il paese al “continente”. E su quelli un trenino, chiamarlo treno sarebbe un’esagerazione, trasportava i rari passeggeri che ne avessero avuto voglia o necessità. Un trenino da niente, come si conviene ad un paese di pescatori e vignaioli, che svolse onestamente il suo servizio per una trentina d’anni prima che le bombe dell’ultima guerra decidessero altrimenti.

Finì mestamente i suoi giorni in un campo dietro il paese, vicino al cimitero, dove i suoi vagoni e la locomotiva rimasero a lungo, sparsi qua e là, per la gioia dei ragazzini impegnati nell’eterna lotta tra indiani e cow boy.

Eppure, nonostante la sua breve vita, fu un treno molto fortunato perché strada più bella per lui non poteva essere inventata: attraverso una limpida laguna , fiancheggiando spiagge e scogliere, sotto tunnel freschissimi a due passi dal mare.

Quella spiaggia della Cantoniera, come già prima il trenino che la costeggiava e la casa cantoniera accanto all’imboccatura del tunnel, non esiste più.

Non esiste più il cantiere della Sipa con i pescherecci assopiti sugli scali, non esistono più quel paese e la sua gente. Come è normale che sia.

Esistono altre cose, altre persone.

Ma per chi quelle cose e quelle persone le ha conosciute com’erano allora, quando un bagno alla Cantoniera ed un gelato da trenta lire bastavano a renderti felice, è impossibile dimenticare.

 

 

2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti